Le chiese

Chiesa della Ss. Trinità

Corso Don Minzoni
(Iniziata nel 1781, consacrata al culto nel 1808) 

La storia
La chiesa della SS. Trinità, detta anche chiesa di San Tommaso da Villanova patrono di Genzano, è situata sul corso Don Minzoni, arteria principale della città. Questa strada, che ricalca il tracciato dell'Appia Nuova attraversando il territorio di Genzano, esisteva già dal tempo dell’impianto seicentesco delle olmate, identificata nei documenti dell’epoca come lo “stradone che da S. Sebastiano porta all’Osteria" (piazza dell’Osteria, poi piazza del mercato dal 1872).

Nel 1780, quando viene aperta la Via Postale, la strada assume una definitiva centralità nell’equilibrio urbano complessivo, poi rafforzata ulteriormente dalla realizzazione della linea del tram da Roma ai Castelli del 1906 e dall’apertura della provinciale per Velletri nel 1912.

Il progetto per la realizzazione della nuova parrocchiale di Genzano venne affidato nel 1778 dalla Congregazione del Buon Governo, su istanza del Consiglio della Comunità, all’architetto Pietro Camporese (1726-1783), sostituito nella conduzione dei lavori, dopo la sua morte, dal figlio Giuseppe (1761-1822), all’epoca ventiduenne, coadiuvato probabilmente dal fratello maggiore Giulio (1756-1840), che già per il duomo di Subiaco porterà a termine l’interno. Originariamente era stato chiesto all'architetto di valutare la possibilità di ristrutturare il Duomo di Santa Maria della Cima, realizzata tra il 1636 e il 1650.

Pietro Camporese presentò un progetto di ampliamento del vecchio duomo, facendo però notare che il suo semplice adeguamento non avrebbe sortito l’effetto voluto, a causa dell’inadeguatezza di quello spazio per le esigenze dei fedeli e delle precarie condizioni statiche dell’edificio. In alternativa, indicò un altro terreno situato sulla Via Postale Roma-Napoli, inaugurata ufficialmente di lì a poco, a fianco del casino fatto costruire all’inizio del ‘700 dai Conti Gomez-Homen di Roma, allegando il progetto del nuovo edificio. I lavori iniziarono nel 1781, nel luogo indicato dal Camporese, e la consacrazione al culto avvenne nel 1808, anche se risulta che nel 1795 la fabbrica poteva dirsi compiuta nelle parti principali. Da subito, però, iniziarono a manifestarsi delle lesioni sui piloni centrali che sorreggevano il catino absidale. Le lesioni si accentuarono nel tempo, tanto che nel 1804 fu deciso di demolire il lanternino giudicato eccessivamente pesante.
Nel 1859 crollò il campanile sinistro. In seguito venne demolito anche quello destro che minacciava rovina.

L’effetto prodotto dal grandioso edificio, in un tessuto edilizio ancora in fase di costituzione, doveva essere ragguardevole, tanto da suscitare nei locali e negli storici qualche perplessità riguardo all'entità dell’impresa: «Se perciò la nuova Chiesa già prossima al suo total compimento, può ora sembrare troppo vasta per Genzano chi sa, che nel giro di pochi anni non abbia ad acquistare quella giusta proporzione che forse ora le manca, e che una buona economia pubblica avrebbe dovuto esigere e procurare. Frattanto non lascia la medesima di accrescere lustro, decoro, e magnificienza al nostro Genzano» (Ratti, 1797).

Addirittura, nelle intenzioni originarie di Pietro Camporese la chiesa avrebbe dovuto essere di dimensioni ancor più grandi di quella poi realizzata. Su richiesta della Congregazione, infatti, accogliendo l’invocazione della comunità locale dei fedeli ad una maggiore economia, il progetto originario venne, dal Camporese stesso, ridotto in alcune sue parti, senza peraltro stravolgerne l’impianto originario. Conserva, comunque, un complesso impianto di ambienti, aggregati in pianta ed in alzato, a ridosso dello spazio liturgico interno, che distanzia questa chiesa dal prototipo da cui discende, vale a dire dalla chiesa del Gesù a Roma del Vignola (iniz. 1568).

Si tratta di ambienti che abbracciano la crociera e la enfatizzano all’esterno. L’invenzione di questa seconda pelle dell’edificio, una sorta di intercapedine che separa la scocca esterna dal suo contenuto, è un aspetto di un certo interesse. Ciò conferma la personale inclinazione di Pietro Camporese per l’assemblaggio di volumi semplici, aggregati come grossi blocchi monolitici, da cui traspare un atteggiamento formativo teso più a cercare all’esterno, nella dimensione urbana e territoriale, il terreno di sperimentazione di nuove forme, piuttosto che all’interno, affidato com’è alla riproposizione degli schemi consolidati dalla tradizione.
E rinnova anche quella suggestione, già evocata da qualche studioso che accosta la chiesa di Genzano all’abside del Duomo di Subiaco, altra opera del Camporse, come una «munitissima fortezza… che emana un senso di solidità, quasi di forte scarto di resistenza… e che pur nella implacabile freddezza accademica rappresenta l’aspetto più caratteristico e nuovo del Camporese» (E. Lavagnino 1956). È così che all’edificio si assicura quella proporzione, che non è soltanto urbana ma territoriale, a cui Pietro Camporese evidentemente tendeva. Dimensione che ancora oggi è pienamente apprezzabile data la visibilità della mole dall’aperta campagna sottostante e nonostante la riduzione dell’originario volume progettato.

La facciata, invece, è pensata in relazione alla veduta tangenziale dalla via Postale, che suggerisce all’architetto un arretramento del fronte rispetto al filo degli edifici esistenti, cui fa da contrappunto l’aggetto del corpo centrale, allo scopo di introdurre la necessaria pausa nel tessuto urbano e creare un pur minimo invaso per apprezzarne le proporzioni. La grande facciata richiama modelli del secondo cinquecento romano, cui si ispira per l’impianto tripartito a due ordini sovrapposti, con corpo centrale più alto e raccordato con volute a quelli laterali; conuna aspirazione per la semplificazione formale. Originariamente si presentava completamente bianca, sia all’esterno che all’interno, cosa che contribuiva ad imprimere all’edificio un tono di astrazione formale rispetto ai caratteri del tessuto urbano limitrofo. Così il De Fonseca scrive nel 1904: «è un vasto e nobile tempio a tre navate, somigliante di forme a S. Andrea della Valle di Roma, e a questo modello l’architetto Giuseppe Camporesi si ispirò. Ma mentre la chiesa di Roma è ricca di ornamenti e di pitture pregevoli, questa di Genzano ne è assolutamente priva, il che, invece di nuocere, molto giova all’ampia sua linea architettonica. Le navate, le volte, la stessa cupola sono bianche e nude…» (E. De Fonseca 1904, p. 83).

Con il passare del tempo questo aspetto venne cancellato dalle decorazioni successive degli interni, mentre per la facciata ci si è attenuti, nel recente restauro, a quello che ne doveva essere l’intenzionalità originaria.
Nella Trinità di Genzano il Camporese consolida una linea di ricerca e di evoluzione del linguaggio verso un razionalismo sobrio, austero, neo-cinquecentista, aggiornato sulle nuove teorie architettoniche che segneranno il superamento dell’esperienza del Barocco. Evoluzione, però, che insieme alla riedizione di forme e schemi del ‘500 romano si carica di un’enfasi originale per l’architettura massiva e la consistenza della materia di cui essa è fatta. Una inclinazione che verrebbe quasi di definire pre-romantica e che qui si presenta con rinnovato senso dell’architettura come costruzione, attenta a far discendere l’espressione della forma dal magistero della materia.

Le opere
Nella prima cappella di destra, dedicata a S. Antonio, troviamo delle decorazioni ad affresco nei pennacchi rappresentano le virtù cardinali, databili alla prima metà del XIX sec. ed attribuibili alla scuola di Vincenzo Camuccini (1771-1844).
Nella terza cappella di destra si trova un altare con decorazioni a bassorilievo in marmo dedicati all’Annunciazione, e dei medaglioni con S. Pietro e S. Paolo. La grande tela che ornava l’altare, raffigurante il miracolo di S. Vincenzo Ferreri, databile intorno alla fine del XVII sec., è oggi visibile nella sacrestia.
Nella prima cappella radiale di destra c'è un altro altare, con tabernacolo affiancato da candelieri e quattro busti dorati commissionati dal Capitolo all’intagliatore Bartolomeo Canini nel 1827. La grande pala d’altare raffigura la Madonna di Monserrato, pregevole dipinto di Franceso Rosa.
La grande tela dell’altare maggiore raffigura la Trinità, dipinta da Giuseppe Aparisio.
La prima cappella di sinistra è decorata con un affresco monocromo del 1870, di Pietro Tedeschi, raffigurante il battesimo di Cristo, copia di un originale di Carlo Maratti.
La cappella successiva è dedicata alla Madonna Auxilium Christianorum, l’immagine sacra fu dipinta nel 1821. È ornata da affreschi dedicati alle storie di Sisara ed Oloferne del 1821, attribuibili alla cerchia del pittore romano Vincenzo Camuccini . Fu restaurata nel 1964 ed integrata nella volta, con affreschi di Alfio Melaranci.
L’ingresso principale è filtrato da un “bussolone di pino”, opera del falegname romano Tommaso Canini del 1885.
La porta centrale esterna è opera di Giorgio Fanasca raffigurante, con bassorilievi in bronzo, il mistero della SS. Trinità e le vicende della vita di San Tommaso da Villanova.

Restauri
Dal 1897 al 1900 si sostituisce il vecchio pavimento in cotto con altro in marmo.
1892 restauri a causa del terremoto del 22 Gennaio; in questa occasione venne imbiancato tutto l’interno e nel 1900 anche la facciata.
Nel 1969 si dà inizio al ciclo delle decorazioni degli interni.
Nella primavera-estate del 1993 si restaura la facciata con la riproposizione della tinta in “bianco di travertino”.

Santa Maria della Cima

Piazza Marconi
Fatta costruire dai monaci Cistercensi dell’abbazia delle Tre Fontane di Roma, risulta incastonata tra le abitazioni medievali del centro storico.
XIII sec. Nucleo originario; chiesa cistercense. Del 1636-1650 è l'ampliamento con diverso orientamento della nuova parrocchiale.

Santa Maria della Cima è chiamata "Duomo vecchio" dai genzanesi ed è stata per secoli la chiesa più importante di Genzano. Da essa scende la processione sul tappeto floreale in occasione del Corpus Domini. Perdette la parrocchialità, trasportata nella Collegiata, nel 1820.
La struttura cistercense originaria era rivolta verso il corso vecchio, ma nel momento della ricostruzione, avvenuta negli anni dal 1636 al 1650, Francesco Peparelli (1585-1641), ampliò e ruotò la facciata verso valle inglobando nella nuova fabbrica l’antica chiesa medievale. Nel 1658 Giuliano Cesarini realizzò la piazza antistante demolendo alcune case addossate alle mura del castello medievale.

La denominazione “della Cima” deriva, secondo il Ratti (Nicola Ratti: Storia di Genzano, 1797), dalla tradizione popolare che narra di un’immagine raffigurante la Vergine Maria venerata sulla cima di un albero esistente sulla collina, come pure può esser derivato, più semplicemente, dalla sua posizione sulla cima del monte.

Santa Maria della Cima risale ai monaci cistercensi delle Tre Fontane ed è possibile che questi ultimi abbiano eseguito la prima edificazione, erigendola sui resti di un tempio pagano. Inadeguata alle esigenze di spazio della crescente popolazione genzanese e staticamente pericolante, venne deciso nel 1635 di ricostruirla. Il cantiere, del resto, si protrasse lentamente fino al 1650, data dell’ultimo pagamento documentato. Un intervento, probabilmente a completamento, si deve a Giuliano Cesarini. La rotazione della facciate fu un espediente che servì a dar maggiore risalto al presbiterio e all’altare maggiore a servizio di chiare intenzionalità sceniche. Va sottolineato il ruolo della chiesa nel contesto urbano, quale unico fondale architettonico sulla sommità della Via Livia, essendo stata demolita nel 1916 l’altra chiesa seicentesca di San Sebastiano, a valle della stessa strada.

Nello sviluppo del centro abitato di Genzano di Roma, S. Maria della Cima rappresenta un momento decisivo. Si può infatti affermare che la storia moderna di questa città inizia a metà del XVII secolo, con la decisione, guidata dai Cesarini, di avviare l’urbanizzazione del territorio circostante al borgo Medievale, fino da allora, più o meno contenuto all’interno del vecchio recinto murario difensivo. Dalle vicende edilizie che seguirono, la ristrutturazione del vecchio Duomo e il sistema delle olmate, che procede l’intuizione, probabilmente voluta e pianificata fin dall’inizio, di fondare una città-villa, in cui alcune emergenze naturali (colle Pardo, Monte Due Torri) ed artificiali (Cappuccini, palazzo Sforza Cesarini, S. Maria della Cima, S. Sebastiano) dialogano in un felice ed inedito intreccio di rimandi visivi e simbolici.

Le opere
Nella prima cappella di destra, si trova una tela del sec. XVII/XVIII raffigurante la Madonna del Rosario.
Nel secondo altare di destra è una tela, di scuola romana metà sec. XVII, raffigurante S. Giuseppe; in alto una tela ovale raffigura San Vincenzo Ferrer, santo domenicano patrono di Valencia.
La pala dell’altare maggiore, dipinta da Francesco Cozza (1605-1682), raffigura la Madonna in Gloria tra i Santi Pietro e Paolo.
All'interno della chiesa si trova un baldacchino con colonnine decorate e putti, opera del 1775 di Pietro Camporese (1726-1783), al suo interno è il trittico del SS. Salvatore e quattro Evangelisti, due per parte, di fattura fine sec. XVI. L’immagine del SS. Salvatore è una copia dell’originale conservato nel terzo altare di destra. Si tratta di una tavola di noce alta m 1,30 e larga m 0,52, dipinta a tempera con ritocchi ad olio; sul retro reca impressa una data indicante l’anno 1575.
Nel terzo altare di sinistra è una tela raffigurante Nozze mistiche di San Caterina della fine del sec. XVII.
Nella seconda cappella di sinistra, una tela di Giacinto Brandi (1623-1691) raffigurante il Martirio di San Sebastiano, proveniente dall’altra chiesa seicentesca dedicata al Santo e demolita nel 1916.
Infine nella prima cappella a sinistra, la Crocifissione tra i Santi Antonio Abate e Antonio da Padova, attribuita a Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio (1639-1709), dipinta intorno al 1670

Chiesa e Convento dei Cappuccini 

Piazzale San Francesco d’Assisi
XVII sec. (1637 – 1643)
La Chiesa e Convento dei Cappuccini fu progettata per volere dei Cesarini contestualmente al sistema delle Olmate (prima metà del XVII e l'inizio del XVIII secolo), con la funzione di fulcro prospettico all’interno del complesso intreccio di corrispondenze visive, tra emergenze di carattere architettonico ed aperture sul paesaggio circostante. La Chiesa, dunque, si trova nel punto più alto del sistema delle triangolazioni dei viali olmati.

Nella chiesa vollero essere sepolti alcuni esponenti dei Cesarini, Signori di Genzano, tra i quali: Giuliano (1618 - 1665), cui si deve la realizzazione della chiesa e del convento, nonché la progettazione del sistema viario delle olmate; la figlia Livia (1646-1711) ed il consorte Federico Sforza Cesarini (1651-1712); Gaetano (1674-1727). La memoria della famiglia è rappresentata dal bel busto in marmo con le sembianze della duchessa Livia, situato sul lato destro della navata, fatto scolpire nel 1851 da Lorenzo Sforza Cearini (1807-1866). All’altare maggiore è posta una pala raffigurante la Crocifissione databile al XVII secolo.

Degno di nota è il parco situato a nord, dove vegetano pregevoli lecci a filari ed un monumentale antico esemplare, della medesima specie, nel cortile retrostante il convento. Infine, è caratteristica e la loggia a due arcate in muratura grezza, con il terrazzo al livello superiore, che si inserisce armoniosamente nel contesto ambientale e gode di un’ampia vista sul bacino del lago di Nemi.

La storia
Il contrasto con il Signore di Nemi, Mario Frangipane (1574-1654), che pretendeva di imporre ai frati cappuccini il sito dove realizzare il nuovo convento, e l’intervento diretto del papa Urbano VIII (1568-1644), convinsero i frati religiosi ad approfittare della disponibilità del duca Giuliano Cesarini (1618 - 1665) il quale, oltre a mettere a disposizione il terreno, si fece carico delle spese per la costruzione. In questo modo, il duca Cesarini si assicurava l’opportunità di realizzare un altro polo importante nel progetto delle olmate.

Dopo i saccheggi subiti a causa delle truppe francesi, durante l’invasione Napoleonica (fine 700-inizi 800), e in seguito alle regie disposizioni del 1875 sulla soppressione delle corporazioni religiose e l’incameramento dei beni ecclesiastici, la chiesa e l’annesso convento passarono al comune di Genzano. Nel 1921 il complesso fu acquistato dall’architetto Marcello Piacentini (1881-1960), ma l’anno successivo tornò all’Amministrazione del Fondo per il Culto. Negli anni ’80 del 1900, la Chiesa passò in via definitiva definitivamente ai Padri Cappuccini, mentre del convento sono state proprietarie, dal 1937, fino agli anni recenti, le Piccole Suore dell’Assunzione, ricordate con imperitura riconoscenza da parte della popolazione genzanese per il sostegno incommensurabile prestato ai bisognosi e agli ammalati del luogo sin dai tragici eventi della seconda guerra mondiale.

Oggi la chiesa è sede di culto della Chiesa ortodossa rumena.

Restauri
1892: restauri a causa del violento terremoto del 22 gennaio
1940: restauro della chiesa (P. Miccinilli, cit.)
secondo dopoguerra: sostituzione degli elementi del portale in peperino e della finestra sovrastante con altri della stessa pietra, con diversa forma e semplificati
1986: rifacimento delle coperture, ripristino degli intonaci e tinteggiatura della facciata

Chiesa della Ss. Annunziata

Piazza dell’Annunziata
(XVI secolo nucleo originario, 1786 ristrutturazione e nuova facciata)

La storia
Dal 1821 fino a dopo l’ultima guerra, la Chiesa dell’Annunziata venne tenuta dalla Confraternita di S. Maria dell’Orazione e Morte. Il campanile venne ricostruito nel 1948 dopo che era stato abbattuto da un fulmine nel 1882.

La chiesa, nel suo nucleo originario, risale al XVI secolo. Si tratta delle più antiche di Genzano, anche se venne rifatta, restaurata e modificata più volte nel corso dei secoli. Nei suoi pressi si trovava l’hospitale che accoglieva solo i pellegrini pubblici.

Dalla Visitatio del 1603 risulta che l’Annunziata veniva aperta soltanto in occasione della festa dell’Annunziata. Nel 1611 la comunità di Genzano di Roma decise di affidarla alle cure dei padri Agostiniani dell’ordine della Consolazione della Congregazione di Genova, avendo interceduto favorevolmente anche il Duca Cesarini. Oltre ad officiare le sacre funzioni, i padri Agostiniani assunsero anche l’obbligo di visitare gli infermi, assistere i moribondi, tenere una stanza per i poveri ed, in seguito, anche quello dell’istruzione gratuita dei bambini. Nel 1677 venne restaurato il tetto della chiesa e dell’annesso convento con il concorso di tutta la popolazione. Nel 1786, secondo il Ratti (Nicola Ratti, Storia di Genzano, 1797), venne ricostruita, ma più probabilmente soltanto restaurata e rifatta nella facciata considerando la pressoché equivalenza delle dimensioni della chiesa nella visita del 1636 con quelle dell’attuale. Secondo queste notizie la chiesa originaria risalirebbe almeno al 1569, anno in cui veniva ancora definita “chiesuola”, per poi essere trasformata e ristrutturata in epoche successive.

Restauri
1786: ristrutturazione della chiesa e costruzione della nuova facciata.
1892: interventi di restauro dopo il forte terremoto dello stesso anno. Si ritoccarono la volta le lunette e l’abside. Alcune decorazioni ad affresco risalgono a questo periodo.
1944: la chiesa viene gravemente danneggiata e restaurata nel dopoguerra grazie a donazione privata.
1970-80: si restaura il tetto, viene realizzato il riscaldamento, si sistemano con nuova distribuzione i locali retrostanti alla chiesa, si interviene piuttosto disinvoltamente all’interno con l’asportazione dell’altare maggiore, del coro, degli altarini nelle nicchie della navata, si elimina la balaustra del presbiterio e si sostituisce il vecchio pavimento in cotto con altro in marmette di cemento.
Dal gennaio del 1998 la chiesa è stata dichiarata non agibile per lesioni sulla struttura portante, e per la caduta di parti delle decorazioni in stucco della facciata. Sono, oggi, in fase di completamento i lavori di restauro degli interni, mentre è già stata completata la facciata.