Descrizione
La chiesa della SS. Trinità, detta anche chiesa di San Tommaso da Villanova patrono di Genzano, è situata sul corso Don Minzoni, arteria principale della città. Questa strada, che ricalca il tracciato dell'Appia Nuova attraversando il territorio di Genzano, esisteva già dal tempo dell’impianto seicentesco delle olmate, identificata nei documenti dell’epoca come lo “stradone che da S. Sebastiano porta all’Osteria" (piazza dell’Osteria, poi piazza del mercato dal 1872).
Nel 1780, quando viene aperta la Via Postale, la strada assume una definitiva centralità nell’equilibrio urbano complessivo, poi rafforzata ulteriormente dalla realizzazione della linea del tram da Roma ai Castelli del 1906 e dall’apertura della provinciale per Velletri nel 1912.
Il progetto per la realizzazione della nuova parrocchiale di Genzano venne affidato nel 1778 dalla Congregazione del Buon Governo, su istanza del Consiglio della Comunità, all’architetto Pietro Camporese (1726-1783), sostituito nella conduzione dei lavori, dopo la sua morte, dal figlio Giuseppe (1761-1822), all’epoca ventiduenne, coadiuvato probabilmente dal fratello maggiore Giulio (1756-1840), che già per il duomo di Subiaco porterà a termine l’interno. Originariamente era stato chiesto all'architetto di valutare la possibilità di ristrutturare il Duomo di Santa Maria della Cima, realizzata tra il 1636 e il 1650.
Pietro Camporese presentò un progetto di ampliamento del vecchio duomo, facendo però notare che il suo semplice adeguamento non avrebbe sortito l’effetto voluto, a causa dell’inadeguatezza di quello spazio per le esigenze dei fedeli e delle precarie condizioni statiche dell’edificio. In alternativa, indicò un altro terreno situato sulla Via Postale Roma-Napoli, inaugurata ufficialmente di lì a poco, a fianco del casino fatto costruire all’inizio del ‘700 dai Conti Gomez-Homen di Roma, allegando il progetto del nuovo edificio. I lavori iniziarono nel 1781, nel luogo indicato dal Camporese, e la consacrazione al culto avvenne nel 1808, anche se risulta che nel 1795 la fabbrica poteva dirsi compiuta nelle parti principali. Da subito, però, iniziarono a manifestarsi delle lesioni sui piloni centrali che sorreggevano il catino absidale. Le lesioni si accentuarono nel tempo, tanto che nel 1804 fu deciso di demolire il lanternino giudicato eccessivamente pesante.
Nel 1859 crollò il campanile sinistro. In seguito venne demolito anche quello destro che minacciava rovina.
L’effetto prodotto dal grandioso edificio, in un tessuto edilizio ancora in fase di costituzione, doveva essere ragguardevole, tanto da suscitare nei locali e negli storici qualche perplessità riguardo all'entità dell’impresa: «Se perciò la nuova Chiesa già prossima al suo total compimento, può ora sembrare troppo vasta per Genzano chi sa, che nel giro di pochi anni non abbia ad acquistare quella giusta proporzione che forse ora le manca, e che una buona economia pubblica avrebbe dovuto esigere e procurare. Frattanto non lascia la medesima di accrescere lustro, decoro, e magnificienza al nostro Genzano» (Ratti, 1797).
Addirittura, nelle intenzioni originarie di Pietro Camporese la chiesa avrebbe dovuto essere di dimensioni ancor più grandi di quella poi realizzata. Su richiesta della Congregazione, infatti, accogliendo l’invocazione della comunità locale dei fedeli ad una maggiore economia, il progetto originario venne, dal Camporese stesso, ridotto in alcune sue parti, senza peraltro stravolgerne l’impianto originario. Conserva, comunque, un complesso impianto di ambienti, aggregati in pianta ed in alzato, a ridosso dello spazio liturgico interno, che distanzia questa chiesa dal prototipo da cui discende, vale a dire dalla chiesa del Gesù a Roma del Vignola (iniz. 1568).
Si tratta di ambienti che abbracciano la crociera e la enfatizzano all’esterno. L’invenzione di questa seconda pelle dell’edificio, una sorta di intercapedine che separa la scocca esterna dal suo contenuto, è un aspetto di un certo interesse. Ciò conferma la personale inclinazione di Pietro Camporese per l’assemblaggio di volumi semplici, aggregati come grossi blocchi monolitici, da cui traspare un atteggiamento formativo teso più a cercare all’esterno, nella dimensione urbana e territoriale, il terreno di sperimentazione di nuove forme, piuttosto che all’interno, affidato com’è alla riproposizione degli schemi consolidati dalla tradizione.
E rinnova anche quella suggestione, già evocata da qualche studioso che accosta la chiesa di Genzano all’abside del Duomo di Subiaco, altra opera del Camporse, come una «munitissima fortezza… che emana un senso di solidità, quasi di forte scarto di resistenza… e che pur nella implacabile freddezza accademica rappresenta l’aspetto più caratteristico e nuovo del Camporese» (E. Lavagnino 1956). È così che all’edificio si assicura quella proporzione, che non è soltanto urbana ma territoriale, a cui Pietro Camporese evidentemente tendeva. Dimensione che ancora oggi è pienamente apprezzabile data la visibilità della mole dall’aperta campagna sottostante e nonostante la riduzione dell’originario volume progettato.
La facciata, invece, è pensata in relazione alla veduta tangenziale dalla via Postale, che suggerisce all’architetto un arretramento del fronte rispetto al filo degli edifici esistenti, cui fa da contrappunto l’aggetto del corpo centrale, allo scopo di introdurre la necessaria pausa nel tessuto urbano e creare un pur minimo invaso per apprezzarne le proporzioni. La grande facciata richiama modelli del secondo cinquecento romano, cui si ispira per l’impianto tripartito a due ordini sovrapposti, con corpo centrale più alto e raccordato con volute a quelli laterali; conuna aspirazione per la semplificazione formale. Originariamente si presentava completamente bianca, sia all’esterno che all’interno, cosa che contribuiva ad imprimere all’edificio un tono di astrazione formale rispetto ai caratteri del tessuto urbano limitrofo. Così il De Fonseca scrive nel 1904: «è un vasto e nobile tempio a tre navate, somigliante di forme a S. Andrea della Valle di Roma, e a questo modello l’architetto Giuseppe Camporesi si ispirò. Ma mentre la chiesa di Roma è ricca di ornamenti e di pitture pregevoli, questa di Genzano ne è assolutamente priva, il che, invece di nuocere, molto giova all’ampia sua linea architettonica. Le navate, le volte, la stessa cupola sono bianche e nude…» (E. De Fonseca 1904, p. 83).
Con il passare del tempo questo aspetto venne cancellato dalle decorazioni successive degli interni, mentre per la facciata ci si è attenuti, nel recente restauro, a quello che ne doveva essere l’intenzionalità originaria.
Nella Trinità di Genzano il Camporese consolida una linea di ricerca e di evoluzione del linguaggio verso un razionalismo sobrio, austero, neo-cinquecentista, aggiornato sulle nuove teorie architettoniche che segneranno il superamento dell’esperienza del Barocco. Evoluzione, però, che insieme alla riedizione di forme e schemi del ‘500 romano si carica di un’enfasi originale per l’architettura massiva e la consistenza della materia di cui essa è fatta. Una inclinazione che verrebbe quasi di definire pre-romantica e che qui si presenta con rinnovato senso dell’architettura come costruzione, attenta a far discendere l’espressione della forma dal magistero della materia.
Le opere
Nella prima cappella di destra, dedicata a S. Antonio, troviamo delle decorazioni ad affresco nei pennacchi rappresentano le virtù cardinali, databili alla prima metà del XIX sec. ed attribuibili alla scuola di Vincenzo Camuccini (1771-1844).
Nella terza cappella di destra si trova un altare con decorazioni a bassorilievo in marmo dedicati all’Annunciazione, e dei medaglioni con S. Pietro e S. Paolo. La grande tela che ornava l’altare, raffigurante il miracolo di S. Vincenzo Ferreri, databile intorno alla fine del XVII sec., è oggi visibile nella sacrestia.
Nella prima cappella radiale di destra c'è un altro altare, con tabernacolo affiancato da candelieri e quattro busti dorati commissionati dal Capitolo all’intagliatore Bartolomeo Canini nel 1827. La grande pala d’altare raffigura la Madonna di Monserrato, pregevole dipinto di Franceso Rosa.
La grande tela dell’altare maggiore raffigura la Trinità, dipinta da Giuseppe Aparisio.
La prima cappella di sinistra è decorata con un affresco monocromo del 1870, di Pietro Tedeschi, raffigurante il battesimo di Cristo, copia di un originale di Carlo Maratti.
La cappella successiva è dedicata alla Madonna Auxilium Christianorum, l’immagine sacra fu dipinta nel 1821. È ornata da affreschi dedicati alle storie di Sisara ed Oloferne del 1821, attribuibili alla cerchia del pittore romano Vincenzo Camuccini . Fu restaurata nel 1964 ed integrata nella volta, con affreschi di Alfio Melaranci.
L’ingresso principale è filtrato da un “bussolone di pino”, opera del falegname romano Tommaso Canini del 1885.
La porta centrale esterna è opera di Giorgio Fanasca raffigurante, con bassorilievi in bronzo, il mistero della SS. Trinità e le vicende della vita di San Tommaso da Villanova.
I restauri
Dal 1897 al 1900 si sostituisce il vecchio pavimento in cotto con altro in marmo.
1892 restauri a causa del terremoto del 22 Gennaio; in questa occasione venne imbiancato tutto l’interno e nel 1900 anche la facciata.
Nel 1969 si dà inizio al ciclo delle decorazioni degli interni.
Nella primavera-estate del 1993 si restaura la facciata con la riproposizione della tinta in “bianco di travertino”.